Si è dibattuto tanto nei giorni scorsi sulla questione del cambio nome del Gruppo Facebook e dell’orientamento che ha dichiarato di voler prendere. Mi hanno chiesto cosa ne penso al riguardo, quindi ho deciso di riassumere qui i miei pensieri.
Intanto il mio primo pensiero è stato: Zuckerberg è un folle! Un brand conosciuto in tutto il mondo, usato da miliardi di persone come Facebook, ora cambia nome? Per me è la cosa più folle che si possa fare.
A meno che, il fatto che sia così conosciuto, non sia considerato negativo. E probabilmente questo è il motivo dello switch.
Forse dalle ricerche che ha fatto, ha scoperto che chiamarsi Facebook non sia più così vantaggioso. In effetti, ci sono state diverse questioni controverse negli ultimi anni. Pensiamo al discorso Covid-19. Sappiamo che durante il periodo di Covid c’è stata una presa di posizione con tutto ciò che non era allineato con il main stream e non è stata una cosa proprio ben vista.
Pensiamo poi alle inchieste che ha subito o gli outing che sono usciti dalle persone all’interno. L’ultimo, quello di una dipendente che ha mostrato lo scambio di email con i suoi capi, nelle quali veniva chiesto di allentare la sicurezza dei post negativi, permettendo la circolazione di notizie violente, piuttosto che quelle positive. Quindi è molto probabile che questa scelta di cambio nome derivi da tutto questo.
Inoltre, questa è l’occasione per lui anche per lanciare la nuova direzione della realtà aumentata. Cosa ne penso? Io sinceramente non sono negativo alla realtà aumentata e a tutto ciò che è tecnologico, perché portano innovazione e la possibilità di evolvere. Credo che sia una cosa positiva in casi particolari, come in un convegno medico, per esempio.
Dall’altra parte, come tutto, presenta dei punti di attenzione. Diventa così figa, così bella e così appagante, tanto quanto la realtà, che tutto sommato ti toglie la voglia di vivere nella vita vera. Un po’ quello che sta già succedendo con i nostri ragazzi, le Playstation e i social vari, che stanno rubando tempo al gioco all’aperto, al pallone o all’arrampicarsi sugli alberi, come si faceva una volta.
Il punto è che il problema non è la realtà aumentata, così come non lo sono i social e la TV, è il come viene utilizzato un tale strumento. Io credo che non dobbiamo permettere che i ragazzi ne abusino al posto della realtà vera, fisica. Abbiamo il dovere di tutelarli. Perché invece la vita va vissuta bene, esperita, soprattutto nei primi anni di vita, i ragazzi vanno tutelati da queste dinamiche perché non sono la realtà.
La realtà aumentata, avvicinata a quella oggettiva, va amministrata con giudizio. Prima di avvicinare i nostri ragazzi alla tecnologia, dobbiamo innanzitutto dar loro la possibilità di sviluppare la creatività, di strabiliarsi di madre natura.
Solo una volta conosciuta la realtà vera possiamo mettere nella giusta prospettiva la nuova realtà aumentata.
A questo proposito, ho parlato di tecnologia con Giancarlo Orsini in questa Livio Live (clicca qui)