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C’era una città popolata da pozzi.

Questi pozzi che irrigavano i campi, iniziarono a preoccuparsi di come rendersi belli e iniziarono a pensare a come abbellire le proprie vere. Un pozzo si faceva la vera in ferro battuto, uno in muratura, uno in legno.

Poco a poco iniziarono ad abbellirsi, mettendo all’interno addirittura dei mobili e suppellettili.

Mentre pensavano ad abbellirsi, il terreno smise di ricevere acqua e poco dopo cominciò a inaridirsi. Certo, i pozzi erano bellissimi e ricchi.

Ad un certo punto, un giovane pozzo iniziò ad andare controcorrente e iniziò a liberarsi di alcuni oggetti al suo interno. Man mano che se ne liberava, trovava più spazio fino a che non trovò l’acqua, se stesso: la sua vera natura.

Riprese così a irrigare e nutrire il campo circostante e velocemente i pozzi lo imitarono.

I pozzi cominciarono a liberarsi di quelle proprietà per ritrovare la propria natura di pozzo e per irrigare il campo intorno a loro. Il campo, tornò a rifiorire.

Più si liberavano, più andavano in fondo. Si accorsero che giù la falda acquifera era comune e tutti attingevano da quella fonte. Fu così che si ritrovarono uniti, in comunione profondamente e per sempre.

Se ci pensi, siamo abituati ad accumulare cose. Anche sovrastrutture di vita, relazioni personali e lavorative. Ci attacchiamo a queste cose al punto che ci dimentichiamo chi siamo in realtà.

La nostra identità viene definita da queste proprietà a cui siamo attaccati. Smettiamo di essere ciò che siamo e iniziamo a vivere in funzione di ciò che abbiamo creato in noi.

Se ti riconosci in questo, inizia a liberarti dell’attaccamento alla cose. Prova a pensare di non averle e di trovare il tuo equilibrio dentro di te a prescindere da ciò che hai creato.

Lì ritroviamo noi stessi. 

 

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Livio

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