Ieri è stata una “giornata super”. In mattinata sono andato al golf club Arzaga di Brescia per fare una seduta di coaching in campo con Giulia Sergas (una bravissima professionista impegnata nel tour americano). Abbiamo fatto un lavoro straordinario sulla gestione dell’energia in gara, come creare momentum, e come trasformare un momento di difficoltà in opportunità. I risultati immediati sono stati strepitosi. Ah, tra l’altro, nel mio intervento del 29 (L’importanza dei rituali) parlavo di Enrico e del lavoro di coaching che abbiamo fatto insieme in campo, e concludevo con un’aspettativa confortante circa i prossimi risultati, ricordate? Beh, il giorno dopo in una gara ha concluso con un bel -4 (sotto il par). Non male eh?
Torniamo alla mia giornata di ieri. Dopo pranzo sono andato al golf club Brescia a trovare i miei amici Andrea Zanardelli ed Alfredo Da Corte impegnati nella loro magnifica [url=http://www.golfacademy.it]Golf Academy[/url], e visto che c’ero ne ho approfittato per praticare un pò. Ho tirato un cesto di palle e, considerando che sono passate due estati dall’ultima volta che ho giocato, ho davvero fatto la mia porca figura (non ditelo a nessuno…le tecniche di allenamento mentale funzionano!!!!). Finito di praticare, sono andato ad allenarmi in palestra ed ho concluso con una mezzoretta tra sauna, bagno turco e sonnellino in saletta relax.
A questo punto tutto era pronto per una cenetta tra amici per finire la “giornata super” in bellezza. Ero in auto che mi stavo recando al ristorante quando ho ricevuto un altro sms. Era Dario, e purtroppo non era forviero di grandi belle notizie: “Livio, hai sentito del piccolo Tommy? l’hanno ucciso!” E’ stato come ricevere un pugno allo stomaco. Non ci volevo credere. Come penso la maggiorparte della gente, ho sperato fino all’ultimo che il piccolo fosse vivo. Il viaggio notturno di ritorno verso Reggio è stato massacrante. I pensieri non mi abbandonavano mai. Man mano che venivo a conoscenza dei dettagli con cui la disumana tragedia si è consumata, le sensazioni di angoscia, rabbia, paura e dolore si confondevano dentro di me. Il mio pensiero mi portava all’Alice e in un istante ho immaginato di vivere in prima persona quella tragedia.
Continuavo a chiedermi: dov’è Dio? Dov’è la sua giustizia? Che significato ha tutto ciò? Come può un uomo compiere un gesto così poco umano? In che razza di mondo viviamo? Per denaro si può prendere a badilate un bambino? Voglio la pena di morte. Subito. Ora! No anzi lo voglio tra le mie mani. Io e lui, soli, in una stanza. Io e lui…
Poi respiro profondamente, mi calmo e comincio a farmi delle domande diverse. Non voglio diventare una bestia anch’io. Voglio essere “una forza per il bene” non per il male. L’ira e l’angoscia portano a pensieri distruttivi, lo so. C’è sempre un significato a tutto, anche questo lo so. Ma so anche che io mi chiamo Livio e mia figlia si chiama Alice, e adesso sta dormendo nel suo letto, a casa sua, con sua mamma. Troppo facile per me, troppo facile.
Oggi ho trascorso la domenica con Silvia e Alice. Siamo andati a fare una passeggiata e poi a prendere un gelato e non la perdevo di vista un attimo. Molti baci, molti abbracci e molte coccole; ogni giorno di vita è un regalo che non possiamo buttare via.
Domani riprende il lavoro, la vita va avanti ed io ho una missione da compiere. Chiunque si senta “una forza per il bene” ha il dovere di continuare la sua opera con sempre più coraggio e passione, soprattutto quando sembra che il terreno sotto i piedi stia cedendo e che il tuo contributo si perda come una goccia nel mare.
Oggi ancora di più: voglio essere una forza per il bene.
Ciao Livio,
oggi ho avuto un’esperienza straordinaria. Ho passato la giornata con un amico esperto nella direzione dei cantieri che per scelta personale opera solo in progetti che abbiano un risvolto sociale.
La sua ultima idea è veramente interessante. Da un anno ha avviato un progetto con le carceri di Torino ed Asti che consiste nell’individuazione di detenuti meritevoli da inserire in una cooperativa come soci per poi essere contestualmente assunti con contratto a tempo indeterminato. I detenuti, in regime di semi libertà, svolgono attività nel settore edilizio e se lo desiderano al termine della pena possono proseguire il loro lavoro all’interno della loro cooperativa. Tale idea non è il solito inserimento di detenuti in semi libertà in un posto di lavoro esterno al carcere ma è la realizzazione di un’organizzazione economica costituita dagli stessi detenuti, assistiti da strutture deputate al contollo, che funziona tanto meglio quanto più i soci la rendono efficace e competitiva sul mercato reale. Tutto ciò oltre a ridurre i problemi e i costi di gestione del carcere si propone come vero e proprio contributo all’auspicato obiettivo della detenzione, cioè il recupero. Mi spiegava il mio amico Maurizio di come spesso ci dimentichiamo che un cittadino, quando è in stato di detenzione, perde ogni diritto. Ad esempio, la perdita della libertà di comunicare con l’esterno si traduce, ovviamente, con il divieto d’uso di cellulari e computer, la lettura di un libro deve essere richiesta alla guardia penitenziaria la quale spesso crea ostacoli alla concessione di tale beneficio, non è liberamente utilizzabile anche solo una semplice penna a sfera, una doccia è un privilegio programmato settimanalmente, nella cella il wc non è dotato nè di porta nè tantomeno di antibagno, spesso la compagnia in cella non è delle "migliori" e altre esperienze psicologiamente devastanti. Il risultato è che ogni anno nelle carceri avvengono decine di suicidi. Mentre Maurizio raccontava mi è venuto in mente Papillon, il protagonista del romanzo omonimo, il quale aveva trovato una meravigliosa soluzione alla pazzia, nella visualizzazione interna, a tal punto da non rendersi conto della sua prigionia. Quanto potrebbe esser utile, per queste persone, l’allenamento mentale? Io credo enormemente e non solo per il superamento della detenzione ma sopratutto per il loro recupero.
Purtroppo il sistema carcerario italiano (ma forse vale anche per quelli oltre confine) non è molto riabilitativo. Non li ho mai frequentati ma ho motivo di pensare che siano più punitivi che altro. Qualsiasi attività che possa in qualche modo recuperare l’atteggiamento di chi vuole davvero cambiare, e che non vuole perdere la fiducia nelle possibilità di "rimettersi in carreggiata", credo che debba essere messa in atto.